UNA MALATTIA CHE MI HA PORTATO FINO ALLE SOGLIE DELLA MORTE

Nel gennaio 1814, l’esercito di Napoleone batteva in ritirata mentre le potenze nemiche invadevano la Francia. L’imperatore aveva inviato duemila prigionieri di guerra austriaci ad Aix. Scoppiò un’epidemia di tifo, di cui rimasero vittima anche dottori e cappellani. Eugenio si accorge dello stato di abbandono in cui versavano questi prigionieri, che morivano senza sacramenti, e decide allora di offrire i suoi servizi alla diocesi per questo ministero. Così facendo, però, si ammala lui stesso, il 10 marzo è costretto a stare a letto e il 14 riceve l’estrema unzione. Poco dopo inizia a delirare. Ecco la sua descrizione di questi momenti in una lettera a suo padre, che si trovava a Palermo:

Mi sono completamente ristabilito da una malattia che mi aveva quasi condotto alla tomba e da cui mi son ripreso grazie alle numerosissime fervorose preghiere che si sono levate a Dio da tutti gli angoli della città. Straordinario l’interesse che mi è stato dimostrato: ne sono confuso ogni volta che me ne rammento e non potrei mai riconoscerlo se non sacrificandomi interamente alla salvezza e all’edificazione dei miei cari concittadini. La loro sollecitudine per me è stata tanto più generosa che io non avevo contratto al loro servizio il male che mi avrebbe infallibilmente portato via, senza l’effetto insperato delle preghiere se non pubbliche — benché lo fossero anche un poco — almeno generali.
Fu nelle caserme dov’erano ammucchiati 2.000 prigionieri austriaci che mi presi quella che è chiamata la malattia delle carceri (il tifo petecchiale). Il giorno di san Giuseppe al mattino ero agli estremi e, come se il mio santo patrono volesse testimoniarmi l’effetto della sua potente intercessione che si invocava dappertutto, la sera stessa cominciai a migliorare con una rapidità strabiliante. Il giorno dopo e l’altro appresso ero già fuori pericolo.
Però mi fu tolta la gioia di celebrare la messa fino al 20 aprile quando cominciai a compiere questo consolante ministero in casa mia. Ora ho ripreso le mie ordinarie pratiche di zelo e mi sento benissimo, anzi meglio di quando non ero malato

Lettera a Charles Antoine de Mazenod, 17 giugno 1814, E.O. XV n. 126

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